Laici e religiosi, eterno conflitto

xxxxxxxxxxxxxxxxxxSono uomini e donne, fieri di essere ebrei ma anche profondamente laici. Sono gli ebrei di oggi, israeliani e della diaspora, che vivono il loro ebraismo con un forte senso di appartenenza ma senza particolari vincoli religiosi. Come il cristianesimo e l’islam si diversificano nelle varie correnti/confessioni – e a volte perfino in contrasto dottrinale -, anche l’ebraismo si presenta come un galassia che va da posizioni ultra-religiose a posizioni ai confini dell’ateismo. I laici, in particolare, sono coloro che in Israele si oppongono agli haredim, i potentissimi ultraortodossi in forte crescita demografica che hanno incrementato il loro peso nella società e nella politica israeliana. E se da un lato stanno cercando di imporre il loro codice comportamentale, dall’altro anche il fronte dei laici è in aumento e ha radicalizzato le proprie posizioni. Negli ultimi anni sono nati diversi movimenti di protesta soprattutto a Tel Aviv, città giovane e moderna, dove le costrizioni religiose non sono sempre ben viste. Anche se per il momento le proteste non sono ancora sfociate in uno scontro frontale per via delle minacce esterne: una fra tutte, quella di una guerra con l’Iran che tiene tutti gli israeliani uniti in una causa comune. Il problema però resta ed è spinoso.

Osserva Fiona Diwan, giornalista (ha diretto Geo Italia, Flair Gulliver) e attuale direttrice de Il Bollettino della Comunità Ebraica di Milano e del sito Mosaico: «Un dato che ha colpito tutti è il risultato delle ultime elezioni in Israele, la flessione dei partiti religiosi e l’emergere di due figure opposte e assolutamente nuove e giovani di politici: il laico e bellissimo Yair Lapid con il partito fondato da lui,  Yesh Atid, C’è futuro (considerato il vero vincitore di queste elezioni), e il super rigorista e nazionalista religioso, il quarantenne  Naftali Bennet con il suo partito Il Focolare ebraico, Habait haYehudì, secondo volto nuovo della politica israeliana. Ed è davvero interessante questo risultato elettorale in cui vince, in definitiva, proprio un super laico che si concentra sui problemi sociali interni, sulle risposte da dare alla crisi, emblema di quella società aperta, giovane che guarda al mondo esterno e che è quella che vive a Tel Aviv».

La questione dei giovani haredim che non fanno la Tsavà, l’esercito, e pesano sul bilancio dello Stato è una faccenda che scotta: sono 7500 studenti di yeshivà che ogni anno vengono esonerati dal servizio militare obbligatorio e che sono mantenuti dai contribuenti e dallo Stato affinché possano studiare Torà. Spiega Fiona Diwan: «Tutti invocano una più equa divisione degli oneri e oggi, in nome di un vento laicista che sembra avere la meglio (sebbene di poco, ma tanto basta), si riesce a discuterne alla Knesset e forse passerà una nuova legge in proposito. Attenzione: questa è in assoluto una delle questioni sociali più spinose e dibattute degli ultimi anni in Israele. Anche in questo caso, quindi, Israele risulta un Paese diviso in due e politicamente, in questo momento, sembrerebbe prevalere la parte più laica».

Ma cosa significa essere laico per un ebreo? E si può parlare di un laicismo ebraico in crescita?

Scrittore, sceneggiatore e regista di successo, Etgar Keret è nato a Tel Aviv nel 1967. «Israele è il Paese anti-ebraico per eccellenza – afferma -. Quando Herzl venne in Israele, l’obbiettivo era di “eliminare l’ebraismo” dagli ebrei, ossia di creare uno Stato laico popolato da laici. Oggi in Israele si può trovare di tutto. Nella mia famiglia, per esempio, mia sorella è ultra-ortodossa e vive a Mea Sharim. Ha undici  figli e nove nipoti. Mia moglie è atea e abitiamo nella laica Tel Aviv. Io ho voluto sposarmi religiosamente. Negli Usa, invece, si può assistere a un fenomeno di controtendenza: sono in aumento le associazioni ebraiche che stanno richiamando gli ebrei assimilati a riappropriarsi della loro appartenenza “smarrita”. Ci sono, insomma, diverse opzioni».

Sorride Tobie Nathan, psicoanalista, scrittore e diplomatico nato a Il Cairo nel 1948, considerato il più autorevole rappresentante dell’etnopsichiatria in Francia: «La questione laica? È una delle tante questioni… Gli ebrei di base sono rimasti sempre uguali a se stessi nei secoli. Una volta eravamo dodici tribù. Con la distruzione del Tempio le tribù si sono sparpagliate e ora si sono ritrovate. È una ricchezza la molteplicità, è positiva, il concetto di “tribù” si conforma perfettamente alla natura del popolo ebraico. In Israele non è un problema la molteplicità, le relazioni sono talvolta tese, ma ognuno può esprimere se stesso, laico o non laico. Ci sono inoltre molti matrimoni misti. E poi ci sono gli assimilati, che è un altro discorso ancora. L’ebraismo ha sempre vissuto di contrasti, di contraddizioni, è abituato. Per questo non si è sviluppato ma non è neanche sparito».

Non accetta la definizione di “ebreo laico” Shalom Auslander, saggista e giornalista cresciuto nel quartiere ebraico ortodosso di Monsey (New York), dove dice di esser stato «educato come un manzo». Nonostante lo zio rabbino e l’educazione religiosa, il suo stile di narratore si distingue per l’approccio nichilista: «Molti ebrei sono stati nel corso della storia dei trouble makers nel loro rapporto con Dio. Sono persone che si pongono dei problemi, che soffrono, personalmente li ammiro. Perché bisogna definire un ebreo laico o non laico? Ci sono ebrei laici, religiosi, gay ed etero, come tra i cristiani. Come cresco mio figlio? Felicemente. Festeggiamo le feste comandate ma senza benedizioni. Non voglio che un domani abbia a che fare con un Dio violento e vendicativo. Io mio nome, Shalom, mi ha probabilmente influenzato…».

A sua volta Eshkol Nevo rifugge dalle etichette. Nato a Gerusalemme nel 1971, è uno scrittore affermato. Il suo ultimo libro – Neuland (Neri Pozza. Traduzione Ofra Bannet e Raffaella Scardi) -, si ispira all’Altneuland (Vecchia terra nuova) di Theodor Herzl. Osserva: «In Israele sta crescendo una notevole curiosità nei confronti dell’ebraismo da parte di laici che tuttavia non vogliono essere etichettati come religiosi. C’è un interesse sempre maggiore verso l’ebraismo in sé, al di fuori da queste definizioni». Come gli amici di Abigail, israeliana, 27 anni, creatrice di gioielli in Italia per lavoro: «Ho diversi  amici che vanno in Sinagoga e si sono riavvicinati alla religione, ma non sono dei fanatici. Personalmente ci vado nelle grandi occasioni. Credo che la globalizzante abbia unificato modi di vivere e comportamenti invisi dagli ultraconservatori, i nazionalisti e i paladini dell’ortodossia che per reazione diventano sempre più rigorosi. Temono i rischi del relativismo. Del resto ho letto che anche da voi i sondaggi parlano di chiese vuote, praticanti occasionali e ore di religione disertate».

E in Italia? «A Milano e nel mondo ebraico italiano, storicamente è stata sempre molto forte una componente universalistica e laica, in cui il quid ebraico, la specificità, erano sì importanti ma solo in quanto valori universali, valori etici fatti risalire alle leggi di Mosè sul Sinai, ai 10 comandamenti, fondamento dell’etica e del diritto occidentali – afferma Fiona Diwan -. Non a caso per l’ebraismo italiano si è usata l’espressione di “ebraismo culturale”. Direi inoltre che proprio in Italia, più che in qualsiasi altro paese della diaspora Europea, la sintesi tra elemento laico e elemento identitario abbiano raggiunto un equilibrio raffinatissimo e perfetto. La religiosità restava sullo sfondo, era presente e consapevole, ma diventava un elemento inclusivo non esclusivo, un elemento di incontro e di abbraccio con l’italianità, non di opposizione».

Oggi l’ebraismo italiano (sono circa 30 mila gli ebrei in Italia) è prevalentemente secolarizzato, ma è difficile tracciare una netta linea di demarcazione: quasi tutti osservano le principali festività del calendario ebraico ma pochi osservano le 613 miztvot, i precetti. Tutti tengono a trasmettere il portato ebraico familiare ma non molti frequentano le sinagoghe ed essendo l’identità ebraica plurima, non ce n’è uno solo che osservi o si senta ebreo nello stesso modo.

Tra le figure emblematiche del mondo ebraico laico vale la pena ricordare Gabriele Nissim, intellettuale che lotta per il riconoscimento dei Giusti, ovvero di coloro che hanno fatto il Bene in nome di un imperativo etico squisitamente ebraico e che a partire dal concetto di Tzadiq, di Giusto, ne allarga la ricaduta semantica fino a comprendere tutti coloro che hanno lottato contro i totalitarismi del XX secolo. O figure come quella del sociologo Enrico Finzi, orgogliosamente laico ed ebreo che ama stare nelle periferie dell’identità: «La mia famiglia era profondamente antifascista, mia madre, Matilde Bassani (era cugina di Giorgio Bassani), ricevette la medaglia d’oro del governo inglese come partigiana e mio zio Limentani perse la cattedra di filosofia per il suo antifascismo… Riguardo all’ebraismo ho sempre amato parlare di ebraismi al plurale, e se dovesse prevalere un ebraismo al singolare non so se ci sarebbe più posto per me. La bellezza dell’ebraismo è che, sebbene piccoli e perseguitati, noi ebrei abbiamo alle spalle un’esperienza unica di unità nella pluralità. Pluralità che è uno strumento essenziale per difendere l’unità… Molte sementi, molti ebraismi, molta ricchezza e messi. Io sono un piccolo ebreo “trifoglio”: che conta poco ma è anch’esso utile, certo poco profondo ma con una sua dignità. Bisogna lasciar spazio anche agli ebrei deboli, gli ebrei della banlieu…».

4 commenti su “Laici e religiosi, eterno conflitto”

  1. molto interessante io da da affiliata x famiglia ebrea ,mi sento parte di cio’ e il concetto di Pluralita’ tra laicità’ e Religione ,lo applico nella vita e tutti si meritano questo, che sentono in libertà’.. sono laica

  2. Marina Gersony

    Libertà… Forse il giorno in cui tutte le religioni si uniranno riconoscendo i valori universali senza farsi la guerra…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su